26 settembre 2006

Posso

abbracciarti, mi chiede.
E' apparsa all'improvviso nella mia stanza.
Quando è in casa sono sempre teso. Con l'ansia di sentirmi chiamare. Di doverle rispondere. Di sfuggire al suo sguardo. Alle sue domande.
Quando è in casa ogni tanto mi fermo ad ascoltare i suoi movimenti. Per capire cosa fa. Dove si trova. Se mi parla.
Si sta arrendendo.
Me lo dicono i suoi occhi.
Certo che puoi, le rispondo. Non so da dove sia uscita la mia voce. Forse da un angolo impolverato del soffitto. Forse da sotto il letto su cui sono seduto.
Poi mi siede accanto. E mi parla. Ammiro il suo coraggio nel riuscire a farlo. La caparbietà.
La mia fuga non le ha impedito di inseguirmi. E di perdersi, forse.
L'ho portata in luoghi di cui non conosceva l'esistenza. E che forse mai avrebbe dovuto conoscere. Ha inventato nomi per cose che non aveva mai visto. Ha dovuto. Lei non sa che io la guardo da lontano. Che ogni tanto mi fermo per darle l'illusione di accorciare la distanza.
Ma di cosa è fatta la sua vita se non di me?
E di cosa è fatta la mia vita se non di lei?
Poi si alza e torna alle sue cose.
Chiudo la porta a chiave. Torno sul letto. La tv è rimasta accesa per tutto il tempo. Un tremore sul viso. I contorni della stanza si addolciscono fino a sparire in macchie di luce. Si sciolgono piano, in un pianto silenzioso.
E' perchè sei disperato, mi chiese una delle prime volte in cui venne a parlarmi. Le avevo appena mostrato il poster che avevo comprato ad una mostra.
Non ho avuto più il coraggio di appenderlo al muro. E' ancora arrotolato accanto alla mia scrivania, nella sua busta di plastica trasparente.
Da più di un anno ormai.


[...never get so attached to a poem,you forget truth that lacks lyricism...]

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