04 dicembre 2006

Non ha

toccato nulla di quello che ho lasciato in tavola. Una cena preparata con misurata fretta e condita di sensi di colpa.
Esco poco prima del suo rientro. Inquieto.
Con un pensiero che resta impigliato alla porta di casa. Un filo così lungo da poterne creare un prezioso tessuto.
In cui avvolgermi.
E soffocare.

Entro nella sala d'attesa e mi siedo. Non ho appuntamento.
Come sempre.
So già che mi riceverà comunque. Sono io questa volta, il suo senso di colpa.
Intanto aspetto. E non mi accorgo di due occhi liquidi che mi guardano.
Intanto aspetto. E penso che la segretaria deve avere una bella voce quando canta.
Intanto aspetto. E una mano ossuta mi si posa sul braccio.
Alzo gli occhi e lo sguardo si ferma sulla grande spilla appuntata sul petto. Un fiore di lapislazzuli.
Riconosco la donna che mi stava seduta di fronte fino a poco prima. Gli occhi erano i suoi.
Mi sorride. E le sue rughe con lei.

Eravamo cinque fratelli e il più piccolo aveva gli occhi azzurri, mi dice. La voce calma. Ascolto con attenzione.

Mia madre gli prendeva i capelli fra le dita, li arrotolava e gli faceva il boccolo, così lo chiamavamo. Ma anche sopra le orecchie, non solo sulla testa, mentre lo dice con una mano si sfiora le tempie.
I suoi capelli sono di un rosso sbiadito, raccolti in una crocchia. Le lenti dei suoi occhiali sono grandi.

Era quando gli americani erano arrivati a Cassino, era il '45 mi pare. Non c'erano le carrozzine come adesso, perciò mia madre metteva mio fratello 'ncoppa alla bicicletta e andavamo in campagna. Lì mio padre quando vedeva arrivare il piccolino conciato in quel modo si arrabbiava sempre - ma è un maschio o una femmina - diceva a mia madre e con la mano gli scompigliava i capelli. Forse mia madre voleva un'altra femmina e per questo lo acconciava così. E poi con gli altri fratelli ci si passava la roba, i vestiti, crescendo, anche perchè a quei tempi eravamo tutti poveri. Ma al più piccolo no. Mio padre non voleva. Lui doveva essere tutto preciso, dice imitando la voce del padre.

Mi scusi se le ho raccontato tutte queste cose, mi dice, ma quando l'ho vista entrare me ne sono ricordata, e con gli occhi ammicca ai miei capelli e sorride.
Non si scusi signora, anzi: grazie per avermele raccontate, le dico mentre si avvia verso la porta.
Silenziosa e attenta a non inciampare nel mio filo.


[...and a thimble's worth of milky moon can touch hearts larger than a thimble...]

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